Sport Dilettantistico, impressioni d’autunno – A cura di Simone Boschi
Simone Boschi commercialista in Firenze consulente in sport management
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È tempo di affiliazioni, di richiesta della quota associativa, di riunioni del consiglio direttivo per stabilire il programma sportivo della stagione 2018/2019, di stipula dei contratti agli istruttori. Nel corso del primo semestre 2018 abbiamo assistito alla nascita e morte della società sportiva lucrativa e della “co.co.co. erga omnes“: per certi versi è stato meglio che la revoca di codeste novità sia avvenuta prima dell’avvio del nuovo anno sportivo, si sono evitati disagi e costi inutili per quei club che avessero immediatamente adottato tali istituti per poi vederli decadere magari con la prossima Legge di Bilancio.
Un colpo di spugna che ci riporta alla situazione normativa del 2017 (salvo la franchigia di esenzione sui compensi sportivi, rimasta a 10mila euro): e allora, ripensando al contenuto della Circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, e di quella n. 18/E/2018 dell’Agenzia Entrate, proviamo a riassumere come poter assicurare una buona pratica gestoria alle nostre associazioni e società sportive:
- 1) si fa sport dilettantistico solo con le discipline presenti in elenco Coni, meglio se analiticamente indicate nello statuto, dove non scorderemo di indicare anche le principali attività accessorie (anche quelle commerciali) che intenderemo esercitare per acquisire risorse con cui finanziare l’attività istituzionale;
- 2) per l’insegnamento delle discipline sub 1), ove vigenti tutti i presupposti, si possono ingaggiare gli istruttori con la classica lettera di incarico sportivo; questa, fra l’altro, evidenzierà:
– l’intenzione delle parti di escludere l’insorgenza di un rapporto di lavoro autonomo, subordinato o parasubordinato;
– le responsabilità a carico dell’istruttore allorchè non provveda a segnalare tempestivamente il superamento della franchigia fiscale di 10mila euro sui compensi percepiti.
Ovvio che tali clausole non saranno solo “estetiche”, anzi, con l’occasione è bene ribadire che per campare insegnando sport occorre la busta paga o la partita Iva, questa è la regola.
- 3) segnalare l’avvio di un rapporto sportivo dilettantistico al Centro per l’Impiego è sempre consigliabile, sia per la trasparenza che rappresenta, sia per l’attenuazione degli effetti sanzionatori che garantisce nel caso un accesso ispettivo evidenzi l’irregolare inquadramento dei collaboratori;
- 4) si avrà cura di richiedere la quota annuale deliberata dal Consiglio a tutti coloro che risultano iscritti nel libro degli associati, registro non obbligatorio per le associazioni, ma raccomandato (preteso?) dagli Uffici fiscali e dai Giudici tributari in seno alle prove da fornire per dimostrare l’esistenza del rapporto associativo;
- 5) Per chi non provvede al pagamento della quota nei termini stabiliti dall’Organo di gestione, verrà deliberata la decadenza dalla qualifica di associato (con annotazione nel libro soci).
- 6) Fra le delibere consiliari di settembre, vi sarà quella con cui è stabilito quali corsi e attività sportive dilettantistiche verranno organizzate durante l’anno sportivo, che importo dovrà essere corrisposto da chi si iscrive ad esse, chi dovrà coordinare i corsi, chi dovrà insegnare le discipline, chi dovrà sottoscrivere i contratti sportivi in nome e per conto del club.
E veniamo ancora una volta alle discipline non in elenco Coni: evitiamo nel modo più assoluto delibere consiliari o modifiche statutarie che siano tese semplicemente a rinominare con terminologia “federale” un’attività motoria esclusa dal Comitato Olimpico: dall’incertezza della norma alla malafede, dall’errore elusivo all’intenzione evasiva.
Se una federazione ha precisato che taluni esercizi attinti dallo Yoga e dal Pilates costituiscono la base per un corso di ginnastica posturale, questo non significa affatto che posso continuare ad offrire Yoga e Pilates in esenzione fiscale e contributiva.
Innanzitutto devo decidere se mantenere le caratteristiche sostanziali di una scuola tradizionale presso la quale si pratica una disciplina millenaria, oppure se intendo veramente alzare l’asticella, studiarmi i dettami tecnici federali e formare i miei istruttori affinché sia possibile in concreto offrire ai frequentatori un corso, autentico e completo, di ginnastica posturale: nel primo caso l’attività è commerciale e l’istruttore sportivo dilettantistico me lo sogno; nel secondo caso – se gli altri requisiti esistono e sono concretamente dimostrabili – posso continuare a fruire delle agevolazioni vigenti e addirittura potrei permettermi di sotto titolare il mio corso, che so, “Ginnastica Yoga”, contando la sostanza e non certo la forma o il nome.
Il più comune errore da evitare è condizionare l’attività istituzionale ai benefici fiscali, approccio totalmente sbagliato, come quando da noi consulenti si presenta un aspirante presidente- istruttore che intende fondare un’associazione “per non pagare le tasse“.
Sport è lealta, comportiamoci sportivamente: le attività “no-Coni”, gravate da Iva e da imposte sul reddito, potranno sempre godere dei regimi forfetari che fanno risparmiare molto; se per pagare un istruttore devo versare anche tasse e contributi, pianificherò meglio il mio esercizio sociale e magari formulerò un’offerta sportiva che preveda anche attività Coni, nel rispetto dei dettami della federazione che riconosce quelle attività, ottenendo così un parziale beneficio che aiuterà il rendiconto del mio club.
In ultimo, una considerazione riguardante le società di capitali sportive dilettantistiche.
La fondamentale differenza fra fare sport dilettantistico tramite un’associazione o una società, che i più attenti scorgono chiaramente dentro l’art. 90 L. 289/2002, è che l’associazione nasce per natura senza finalità di lucro, mentre la SSD mantiene la sua natura commerciale ma deve prevedere il divieto di distribuzione di utili, come specifica anche la Circolare 18/E/2018 dell’Agenzia delle Entrate.
Il fatto di trovare scritto e spiegato questo importante concetto in un documento di prassi emanato dallo stesso Ente che esegue i controlli, fa forse capire come mai, ad oggi, il fisco ha preferito proseguire coi controlli sulle associazioni limitando quelli sulle società sportive; se infatti nelle prime – molto più numerose – si indaga sull’effettiva consistenza dell’associazione, su come si svolge il rapporto associativo, sulla democraticità partecipativa- elettiva e spesso i verificatori scoprono false associazioni, carenti di tali elementi, nelle seconde tutto questo è inutile perchè è risaputo e legittimo che il controllo e la volontà gestoria provengano da un limitato nucleo di persone (i pochi soci che detengono il capitale sociale) e siano eseguite da un Organo a ciò preposto (gli amministratori) anch’esso composto da poche persone.
I verificatori potrebbero allora basare il controllo ad una SSD sull’organizzazione gestoria, sull’entità degli investimenti, sui “numeri” (ricavi, tesserati, collaboratori), così da dimostrare che si è di fronte ad una tradizionale struttura imprenditoriale, dove magari gli utili sono distribuiti indirettamente tramite congrui compensi agli amministratori o agli istruttori, perché no, iscritti a libro paga.
Un elemento critico nei centri medi e grandi, oltre alla presenza di un’organizzazione simile a quella di aziende importanti (che di per sè costituisce elemento “commercializzante”, come tante sentenze delle Alte Corti sanciscono ormai da anni) è la presenza di attività sportive miste Coni e no-Coni, di abbonamenti “full” che danno la possibilità ai tesserati di partecipare a tutte le attività offerte in qualunque giorno dell’anno, di istruttori che insegnano anche discipline non riconosciute ma che vengono pagati col solo rimborso sportivo, di esigue dotazioni di certificazioni mediche di idoneità sportiva rispetto al numero dei tesserati (quasi ad ammettere che ridotto è l’interesse per le norme legate all’attività sportiva dilettantistica): tali criticità rendono davvero difficoltosa l’individuazione di un perimetro dilettantistico meritevole di fruire delle agevolazioni vigenti.
Sta allora al club, grazie anche al suo preparato consulente (e talvolta non basta), dimostrare – dal lato tecnico, da quello statistico e demografico, nonchè da quello economico – l’esistenza di un rapporto obiettivo fra attività commerciali e attività decommercializzate, tale da potersi applicare infine alla rendicontazione, ai ricavi e anche ai correlati costi, sempre che ciò serva a convincere il verificatore: noi però lo immaginiamo fortemente convinto di aver scovato un’azienda che produce utili in un modo o nell’altro destinati ai soci.
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SIMONE BOSCHI
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