- Perchè i soci di un’associazione che svolgono ginnastica dolce in convenzione con la Regione (progetto Afa) o senza , che NON SVOLGONO ATTIVITA’ NON AGONISTICA, MA MOTORIA, dovrebbero, secondo le interpretazioni, farsi fare un certificato che la legge ha abolito?
Pur non occupandomi di normativa sanitaria, dunque legando la mia risposta alla ragionevole interpretazione della normativa che più si è diffusa, rimando a quando già emerso in occasione del convegno Csen sulla certificazione medica tenutosi a novembre 2013: l’attività AFA può ragionevolmente non rientrare nella previsione della visita medica di idoneità sportiva, visto che trattasi di un tipo di attività generalmente suggerita se non addirittura prescritta dallo stesso medico curante per pazienti afflitti da particolari patologie o stati di senilità; tale assunto consente peraltro di evidenziare una serie di principi:
1) l’attività AFA non può essere considerata attività sportiva dilettantistica;
2) i proventi che ne conseguono, non riguardanti la classica attività sportiva dilettantistica, sono esclusi dalle agevolazioni fiscali di cui al terzo comma dell’art. 148 Tuir: per essi non spetta la decommercializzazione delle attività svolte in attuazione degli scopi istituzionali verso pagamento di corrispettivi specifici, a meno che l’Associazione organizzatrice non sia riconosciuta come organizzazione “assistenziale” anziché “sportiva dilettantistica” (ma in tal caso i compensi agli istruttori non godrebbero dell’esenzione ex art. 67 lettera m) del Tuir, rigorosamente riferita alla sola attività sportiva dilettantistica);
3) la scelta di tesserare anche i frequentatori della ginnastica AFA al fine di collocare nell’ambito sportivo dilettantistico tutte le attività proposte dal sodalizio (dunque anche al fine di consentire l’esenzione fiscale sulla quale esprimo il mio personale dubbio per il caso di specie), crea un paradosso, poiché sia la normativa nazionale sulla certificazione medica (Decreto Balduzzi) sia quella regionale (L. 35/2003) obbligano alla certificazione medica di idoneità tutti i frequentatori / soci / tesserati presso FNS/EPS/DSA .
- Perchè il Csen acconsente che l’assicurazione non copra in assenza di certificato, visto che la legge consente di non averloa quelli indicati sopra?Così facendo discrimina i suoi affiliati non tutelandone i diritti. Fra l’assicurazione e lo Csen il potere di decidere quali sono le attività contemplate e se hanno bisogno del certificato, quindi è responsabile anche lui.
- Perchè se un’associazione sportiva svolge anche attività motoria contemplata da statuto, ( nella nostra disciplina le ginnastiche cinesi fanno parte del patrimonio del wushu), dovrebbe diventare una società di capitali ,snaturandosi per svolgere attività motoria.? Qual’è la legge che lo prevede?
Non vi è alcun obbligo normativo di svolgere attività in forma di società di capitali: si tratta solo di un’opportunità/facoltà (articolo 90 Legge 289/2002) legata ai molteplici motivi scaturiti in occasione del convegno dell’ 11 Ottobre e della quale numerosi club (soprattutto di medie e grandi dimensioni) hanno approfittato negli anni; obiettivamente va riconosciuto che non sempre la scelta si è rivelata risolutiva.
- Perchè non devo affiliare tutti i miei soci allo Csen in base a questa singolare o plurale interpretazione?
Ci sono statuti che prevedono la pratica sportiva purché tesserati ma non necessariamente associati al club: si pensi alle squadre di pallavolo che partecipano a campionati dilettantistici tesserano atleti senza tuttavia procedere alla loro ammissione come soci. E’ una pratica riconosciuta dal terzo comma dell’art. 148 Tuir (differenza fra iscritti, associati e partecipanti, contenuta nella norma).
Se tuttavia lo statuto dell’associazione prevede che le attività sportive dilettantistiche siano riservate ai soli associati, diviene necessario procedere anche all’ammissione al fine di rispettare i dettami istituzionali; il non farlo dimostrerebbe la non applicazione dei principi statutari, con la conseguente attrazione nella sfera commerciale in caso di verifica fiscale.
Indipendentemente dalla casistica, se vengono organizzate particolari attività (previste da statuto) che siano considerate “aperte” e quindi destinate al pubblico dei consumatori, sopravviene la previsione contenuta nella Risoluzione 38/E/2010 dell’Agenzia delle Entrate che cito testualmente: “qualora, invece, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi vengano effettuate nei confronti di soggetti che non rivestono la qualifica di soci nè siano tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, le stesse assumono rilevanza ai fini reddituali“.
Ne è caso eloquente un bell’impianto sportivo della provincia di Firenze che accoglie al piano terra una piscina dove la S.S.D. organizza corsi di nuoto e pallanuoto riservati ai tesserati, ma dove in certe fasce orarie è consentito il nuoto libero con ingresso a pagamento e scontrino fiscale; al primo piano, il club consente la frequentazione di una piccola palestra, anch’essa ad ingresso a pagamento con scontrino fiscale. Tutte le attività risultano regolarmente previste nello statuto.
- Perchè se l’agenzia delle entrate è chiamata a “far cassa” , deve considerare a livello interpretativo una legge sulla sanità come se mettesse dei paletti in ambito fiscale? Dove è scritto? Chi gli da questo potere?
Non vi è norma che induca il verificatore a controllare se l’attività praticata sia “profit” o “no-profit” sulla base dell’organizzazione che il club si è dato per l’accesso all’impianto con o senza certificato medico. E’ tuttavia ragionevole ritenere che se un club dichiara di svolgere attività sportiva dilettantistica tesserando tutti i suoi frequentatori e poi non richiede il certificato medico sportivo commette una violazione almeno della normativa sanitaria sullo sport; in tale ambito, il verificatore che constata tale abitudine può lecitamente chiedersi se invece quel sodalizio non violi la normativa tributaria, spacciandosi per ASD solo formalmente; ovvio che quel verificatore dovrà poi indagare e provare le proprie asserzioni.
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